martedì 3 novembre 2015

Sapkowski al Lucca Comics 2015: intervista

Cosplay: Iorveth, Geralt, Ciri e un Leshen alle spalle


Camicia a quadri, baffetti bianchi e capelli corti. Quando Andrzej Sapkowski arriva si fa subito notare: afferra il libro di un altro autore, lo guarda per un secondo, e poi lo rimette subito giù, stringendosi nelle spalle. “C’era una giornalista qui, piccola così. Non so dove sia andata, me la sono persa nella folla!”. E ride. Ha qualcosa di George RR Martin: grassottello, appassionatissimo, risponde a tutte le domande senza battere ciglio, con un’onestà spiazzante. Ha creato una delle saghe letterarie più famose degli ultimi anni, The Witcher, da cui è stata tratta anche l’omonima serie videoludica. Il suo ultimo libro, La Signora del Lago (Editrice Nord), è arrivato in libreria solo pochi giorni fa. Prossimamente toccherà a La Stagione delle Tempeste, uno spin-off ambientato tra i primi due volumi, Il Guardiano degli Innocenti e La Spada del Destino.
wired.it ha intervistato l'autore, ecco cosa ha raccontato!



Qual è la storia della nascita del personaggio di Geralt di Rivia? Da dove le è venuta l’idea?

“È una storia piuttosto lunga, e serve un po’ di tempo per raccontarla… C’era questo giornale specializzato in racconti fantastici che aveva organizzato una competizione per racconti brevi, dando, ovviamente, alcuni limiti e requisiti per partecipare. Ancora oggi non so perché abbia deciso di partecipare… Pensai comunque che se volevo farlo, l’avrei fatto solo per vincere altrimenti sarebbe stato inutile. Così iniziai a calcolare le mie possibilità di vittoria, dove mi sarei potuto classificare, cosa avrei potuto scrivere… Dovevo produrre qualcosa che era completamente originale. In Polonia il fantasy non è così famoso, così decisi di scriverne uno. Ma commisi il mio primo errore: perché tutti decisero di scrivere un fantasy [ride]“.


Niente libri di fantascienza?

“Ne avevano tutti troppo della terribile fantascienza polacca! [ride] Mi diedero un limite di un certo numero di pagine per questa storia. Quindi mi chiesi che cosa potevo scrivere in quel limite che era di 30 pagine. Andare a Mordor e gettare l’anello nel Monte Fato? No! Avevo molte meno pagine a mia disposizione. Decisi allora di raccontare in un altro modo una storia piuttosto famosa in Polonia: quella di un apprendista ciabattino che arriva in città e deve combattere contro il male, naturalmente, e liberare la fanciulla che altrimenti sarebbe stata sacrificata.

“Nella mia rielaborazione, se si fosse trattata di una favola, il ciabattino sarebbe stato il migliore, avrebbe sconfitto immediatamente il mostro e si sarebbe innamorato della fanciulla che doveva salvare. Ma il mio libro è un fantasy: quindi il ciabattino è diventato un pessimo ciabattino, che moriva di fame e che sicuramente non avrebbe potuto battere il mostro… e che per questo decide di rivolgersi a un professionista. Nel mondo reale – perché il fantasy è questo: il mondo reale – deve esserci un professionista, qualcuno che viene pagato”.

Di solito si fa la foto CON all'autore, non DALL'autore


Un vero fantasy, quindi, è un racconto realistico?

“La differenza tra le favole e i fantasy è che i fantasy sono veri – assolutamente veri. Si tratta della creazione di un artista. Come diceva Tolkien, il cielo è rosso e le foglie sono viola. Ma esiste. È un vero mondo perché io – lo scrittore, l’artista – l’ho creato”.


È per questo allora che nei suoi libri tornano temi importanti e così attuali come la diversità, o l’immanenza del futuro.

“Sai, non c’è una vera e propria ricetta per saper come scrivere un buon libro. Non è come, diciamo, la pasta alla bolognese! (ride) Non puoi dire quale ingrediente utilizzerai con così tanta precisione. Ci sono tanti tipi di pasta, no? E tanti tipi di salsa e di pomodori. Questo succede. Succede e basta. È la creazione. Non c’è nessuna ricetta, non posso dire perché, come, quando. Si tratta del mio talento! È questo quello che mi permette di scrivere questo tipo di storie, nient’altro. E non c’è nessun modo per minimizzare gli elementi che fanno parte di un libro. Non è come con i Lego, con quei mattoncini colorati… Succede e basta. Succede, e, basta”.

L'importante è avere la birra sempre disponibile!


Glielo avranno chiesto centinaia di volte, ma… che cosa pensa dei videogiochi ispirati ai suoi libri?

“Non ne so niente. Non ci ho mai giocato. Sono un felicissimo possessore dei diritti e basta [ride]. È come con i libri: li ho scritti, ma non li ho mai aperti”.

È un sorriso??? OMMIDDIO sta SORRIDENDO???


Geralt non è un personaggio semplice o banale: anche se deve proteggere l’equilibrio, e combattere i mostri per difendere gli umani, spesso si lascia andare alle passioni. Non un vero eroe, in questo senso.

“Hai ragione. L’ho fatto così. In tutti i sensi. Mi stai chiedendo perché? Perché l’ho creato così? Semplicemente perché se avessi creato un personaggio noioso o comunque poco interessante, che uccide solo orchi e non fa nient’altro, i miei lettori mi avrebbero ucciso! (ride) Quindi ho dovuto pensare a qualcosa di diverso, qualcosa che innanzitutto mi permettesse di vendere i miei libri… Se avessi scritto un personaggio, diciamo, normale, non avrei avuto così tanto successo. E non avrei venduto tutti questi libri”.


Delle trasposizioni televisive e cinematografiche di The Witcher che ne pensa?

“Alcuni sono buoni, altri meno buoni. Altri pessimi”.

Grazie!

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